RAPPORTO DI LAVORO - SANZIONI DISCIPLINARI

RAPPORTO DI LAVORO - SANZIONI DISCIPLINARI

Il principio dell'immediatezza della contestazione disciplinare, la cui ratio riflette l'esigenza dell'osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro, non consente all'imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l'incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l'immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Presidente -

Dott. CURCIO Laura - Consigliere -

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo - Consigliere -

Dott. BALESTRIERI Federico - Consigliere -

Dott. LORITO Matilde - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15829-2015 proposto da:

B.L., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall'Avvocato SILVANA ROMEO, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ENZO MORRICO, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 7083/2014 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/11/2014 R.G.N. 34/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/07/2017 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l'Avvocato ROMEI ROBERTO.

Svolgimento del processo

La Corte d'Appello di Napoli con sentenza depositata il 17/11/2014 confermava la pronuncia resa dal Tribunale della stessa sede con cui era stata rigettata la domanda proposta da B.L. nei confronti di Telecom Italia s.p.a. volta a conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole in data 11/2/2010.

Nel pervenire a tali conclusioni il giudice del gravame rimarcava che la lettera di contestazione era da ritenersi tempestiva, in quanto formulata entro un mese dalla denuncia dei comportamenti illeciti ascritti alla dipendente - consistiti nella indebita concessione di numerosi esoneri dall'obbligo di pagamento fatture, anche in favore di se stessa - la cui specifica descrizione era contenuta in una lettera anonima pervenuta alla azienda; ciò in considerazione della assenza di alcun obbligo a carico di quest'ultima, di mantenere sotto controllo l'operato dei propri dipendenti in ragione delle ampie dimensioni della propria struttura organizzativa. All'esito dello scrutinio del quadro probatorio delineato in prime cure, rilevava che l'atto di incolpazione aveva rinvenuto positivo riscontro e, considerata la entità e gravità degli illeciti commessi, proporzionata era da ritenersi la sanzione espulsiva irrogata.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la B. affidato a cinque motivi. Resiste la società intimata con controricorso illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Il Collegio ha autorizzato la stesura di motivazione semplificata ai sensi del decreto del Primo Presidente in data 14/9/2016.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e art. 24 Cost. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Si deduce l'erroneità della esegesi delle disposizioni da parte del giudice del gravame, che in presenza di un ampio lasso temporale, avrebbe posto sostanzialmente a carico del lavoratore, l'onere di dimostrare la correttezza dell'operato, in violazione del principio secondo cui "l'incolpazione ritardata, siccome pregiudizievole al diritto dell'incolpato di difendersi, si traduce nella illegittimità del conseguente licenziamento".

2. Con il secondo e terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 2607 c.c. nonchè dell'art. 240 c.p.p. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Ci si duole del peso probatorio attribuito dalla Corte di merito alla lettera anonima, che non rientrerebbe nell'ambito delle prove documentali dotate di rilievo processuale e che in sede penale, non può essere acquisita nè utilizzata, salvo che costituisca corpo del reato o provenga dall'imputato.

3. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., ribadendo che la Corte distrettuale avrebbe posto a carico della parte lavoratrice, l'onere di dimostrare la motivazione dei tabulati a distanza di ben quattro anni dalla verificarsi dei fatti oggetto di contestazione.

4. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, risultano modulati sulla precipua nozione di tempestività della contestazione nonchè sulla salvaguardia del diritto di difesa del lavoratore incolpato, e connotati dall'ulteriore critica in ordine al non corretto governo delle prove in appello con riferimento all'utilizzo delle lettere anonime.

Essi vanno disattesi per quanto di seguito esposto.

5. Deve rimarcarsi, per un corretto inquadramento della questione delibata, che il principio dell'immediatezza della contestazione disciplinare, la cui "ratio" riflette l'esigenza dell'osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro, non consente all'imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l'incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l'immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro.

Questa ragione giustificativa della regola di immediatezza (del licenziamento e della contestazione) è dunque coincidente con quella che connette l'onere di tempestività al principio di buona fede oggettiva e più specificamente al dovere di non vanificare la consolidata aspettativa, generata nel lavoratore, di rinuncia all'esercizio del potere disciplinare (vedi Cass. 17/12/2008 n.29480).

Peraltro, questa Corte ha avuto modo di sottolineare con orientamento privo di contrasti, come il criterio di immediatezza vada inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell'illecito disciplinare, nonchè del tempo occorrente per l'espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l'organizzazione aziendale, con l'ulteriore specificazione che la relativa valutazione del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici" (ex aliis, vedi, di recente, Cass. 25/1/2016 n.1248, Cass. 12/1/2016 n. 281).

6. La definizione del concetto di immediatezza non può prescindere, poi, dal rilievo che il giudizio su di essa postula l'accertamento del tempo in cui il datore di lavoro sia venuto a conoscenza della riprovevole condotta del dipendente, di guisa che, come affermato da questa Corte in numerosi approdi (cfr. Cass. 26/11/2007 n.24584, Cass. 15/10/2007 n. 21546, Cass. 10/1/2008 n.282), il lasso temporale tra i fatti e la loro contestazione deve decorrere dall'avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dall'astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi, non potendosi ragionevolmente imputare al datore medesimo, legittimato all'esercizio del potere disciplinare a seguito dell'accertamento dei fatti addebitati al dipendente, la possibilità di conoscere questi fatti in precedenza e di contestarli immediatamente al lavoratore.

7. nè sul punto, appare pertinente - come asserito da questa Corte in recenti arresti concernenti fattispecie sovrapponibile a quella qui scrutinata (vedi in motivazione, Cass. 13/6/2017 n.14654) - la denuncia di asserita violazione dell'art. 240 c.p.p. trattandosi di norma specificamente dettata per il solo procedimento penale (cfr. Cass. 14/3/2013 n.6501 secondo cui in materia disciplinare, poichè gli artt. 240 e 333 c.p.p. riguardano esclusivamente la materia penale, nessuna norma di legge vieta che l'esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro possa essere sollecitato a seguito di scritti anonimi, restando escluso solo che questi possano essere lo strumento di prova dell'illecito, nè un simile divieto può desumersi dal generale principio di correttezza e buona fede che costituisce un metro di valutazione dell'adempimento degli obblighi contrattuali e non anche una autonoma fonte).

8. Dei suddetti principi la Corte distrettuale ha disposto corretta applicazione, avendo argomentato che i fatti addebitati alla dipendente (e consistiti nel compimento di una serie di indebite operazioni di abbuono disposte su fatture telefoniche alla clientela ed anche a se stessa, che avevano comportato un pregiudizio economico alla azienda) erano stati descritti in una lettera anonima pervenuta all'Amministratore delegato della società circa un mese prima dell'invio della contestazione disciplinare. La Corte ha, quindi, esattamente considerato rilevante ai dedotti fini, il momento di acquisizione delle notizie concernenti la condotta illegittima assunta dalla dipendente, deducendo - con incedere argomentativo del tutto congruo sotto il profilo logico, e corretto, per quanto sinora detto, sul versante giuridico - che l'invio della lettera di contestazione disciplinare dopo in mese dalla ricezione della lettera anonima, pur a distanza di tempo dal compimento degli atti contestati, non poteva ritenersi disposto in violazione del summenzionato principio di immediatezza; con la precisazione che neanche era ipotizzabile in capo alla società, alcuna responsabilità per omesso controllo dei propri dipendenti, considerata la imponenza della struttura organizzativa aziendale e l'elevatissimo numero di dipendenti, quali la ricorrente, addetti al sevizio di recupero crediti.

Il disposto apprezzamento si palesa logicamente coerente e puntualmente riferito a tutti gli elementi del giudizio oltre che conforme a diritto, onde resiste alle censure all'esame.

9. Con il quinto motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ci si duole della omessa ponderata valutazione da parte dei giudici del gravame, ai fini della proporzionalità della sanzione inflitta, della mancata irrogazione di qualsivoglia provvedimento disciplinare a proprio carico, elemento decisivo ai fini considerati, tenuto conto altresì della circostanza che i fatti addebitati erano stati commessi in concorso con altri dipendenti ai quali erano state comminate sanzioni conservative. Si richiama il principio per cui quando più dipendenti sono responsabili di un fatto illecito, il datore di lavoro non può irrogare provvedimenti disciplinari di diversa misura per ciascuno di essi, in assenza di adeguata motivazione. Si deduce che nello specifico, detto principio sarebbe rimasto inosservato.

10. La censura presenta profili di inammissibilità giacchè nella sostanza contesta l'accertamento in fatto operato dai giudici del merito.

Invero la ricostruzione dei fatti e la loro valutazione, per le sentenze pubblicate - come nella specie - dal trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 de1111.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, è censurabile in sede di legittimità solo nella ipotesi di "omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti".

Ma detto vizio non può essere denunciato per i giudizi di appello instaurati successivamente alla data sopra indicata ai sensi del richiamato D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, (cfr. Cass. Cass. 18/12/2014 n. 26860) - come nel caso di specie - con ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter c.p.c., u.c.).

Ossia il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme (vedi Cass. 22/12/2016 n. 26774, in motivazione, Cass. 16/11/2016 n. 23358, Cass. 18/8/2016 n.171669 e Cass.11/12/2014 n.26097, che ha altresì escluso dubbi di incostituzionalità della norma).

Pertanto la decisione della Corte territoriale, che ha fatto proprie le argomentazioni espresse dal primo giudice della sentenza de qua, ritenute condivisibili, non può essere oggetto del sindacato di questa Corte a mente dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

11. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

Infine si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 201


Avv. Francesco Botta

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